INTRODUZIONE
Il primo studioso che illustrò il disturbo che molti anni dopo sarà chiamato Mutismo Selettivo (MS) fu di Kussmaul (1877), un medico tedesco, che sotto l’etichetta di “aphasia voluntaria” descrisse i primi tre casi di persone che pur avendone le capacità, non parlavano. La denominazione faceva riferimento esplicito alla concezione di un mutismo sostenuto intenzionalmente dal soggetto, e in seguito il punto di vista della volontarietà del sintomo fu più volte rilanciato. Nel 1934, un altro studioso, Moritz Tramer, introdusse la definizione di “Mutismo Elettivo” rinnovando l’idea che alcuni bambini scegliessero di non parlare. Il termine è tuttora utilizzato da qualche studioso e dalla stessa World Health Organization (1994, 2000) che descrive il disturbo all’interno di un paradigma di condizionamento operante di tipo negativo (evitante su base emotiva), così come indica l’ICD-10 (WHO, 1994, 2000), per il quale il MS “E’ caratterizzato da una marcata selettività nel parlare, emozionalmente determinata, per cui il bambino dimostra competenza linguistica in alcune situazioni, ma evita di parlare in altre (ben individuabili). In genere il disturbo è associato con marcate caratteristiche di personalità, comprendenti ansia nei rapporti sociali, chiusura, ipersensibilità, o oppositività.”. Solo nel 1994 è stato finalmente introdotto dall’American Psychiatric Association, nel proprio manuale di classificazione dei disturbi mentali (DSM-IV – APA, 1994) il termine di “Mutismo Selettivo”, che meglio descrive le caratteristiche estremamente situazionali del disturbo. La stessa denominazione è stata mantenuta anche nella quinta edizione del manuale (DSM-5 – APA, 2013); inoltre, malgrado ne siano rimasti invariati i criteri diagnostici, il MS è stato finalmente inserito nella sezione dei disturbi d’ansia.
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